Ho scritto questo articolo con la collaborazione del Dr. Orlando Corradin, Specialista in Dermatologia e Venereologia.
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Sappiamo tutti che la vitamina D è un nutriente essenziale per il nostro organismo, perché ci può proteggere da molteplici malattie. Sappiamo anche che la vitamina D si produce nel nostro organismo attraverso l’esposizione al sole, però è altrettanto noto che oggi i raggi solari sono particolarmente pericolosi per il rischio di melanoma cutaneo, un tumore in rapida crescita in questi ultimi anni.
Come trovare un equilibrio tra la necessità di vitamina D e questo elevato rischio?
Un Lettore ci ha recentemente posto questo problema e abbiamo pensato di approfondirlo per avvisare tutti coloro che ci seguono cosa dovrebbero fare per avere il maggior carico di vitamina D con il minor rischio di ammalarsi di melanoma.
- Importanza protettiva della vitamina D
- Origine della vitamina D naturale
- Sintesi endogena della vitamina D
- Fattori che limitano la sintesi cutanea di vitamina D
- Esposizione solare e rischio di melanoma
- Fattori facilitanti l’eritema solare e il melanoma
- Esposizione solare e produzione di vitamina D
- Insufficiente produzione di vitamina D nei mesi meno soleggiati
- La produzione di vitamina D dipende dall’età
- I nostri consigli conclusivi
- Bibliografia
Importanza protettiva della vitamina D
La vitamina D è molto importante per la salute. Infatti, non è considerata una semplice vitamina, bensì un vero e proprio ormone che agisce su specifici recettori cellulari presenti in quasi tutti i tessuti del nostro organismo.
La vitamina D è famosa per il suo effetto di regolazione del metabolismo del calcio e del fosfato e per il suo ruolo rilevante nella formazione delle ossa e dei denti. Infatti, un apporto sufficiente di vitamina D è indispensabile per prevenire il rachitismo nei bambini e l’osteomalacia (rammollimento delle ossa) o l’osteoporosi negli adulti e per migliorare la salute dei muscoli riducendo il rischio di cadute[1] e di fratture negli anziani.[2]
Però, il recettore cellulare della vitamina D non si trova solo a livello delle cellule dell’apparato scheletrico, ma anche in molti altri tipi cellulari, da quelli del sistema immunitario a quelli di stomaco, rene, prostata, cuore, cervello, ecc. Proprio per questo motivo si dice che la vitamina D interviene in molteplici funzioni del nostro organismo e ci difende da moltissime malattie.
Ad esempio, recenti ricerche hanno evidenziato l’influsso positivo della vitamina D sull’evoluzione di molte patologie croniche, sia gravi che meno gravi,[3] ma hanno anche dimostrato la facilità con cui si manifestano o si slatentizzano moltissime patologie quando i livelli plasmatici di questo nutriente sono troppo bassi. Infatti, l’integrazione con vitamina D, specie se una persona ha concentrazioni plasmatiche troppo basse, svolge un ruolo significativo nella prevenzione di patologie cardiovascolari, metaboliche, oncologiche, neurologiche, autoimmunitarie, infettive, ecc.[4]
Per quanto riguarda più specificatamente l’effetto antivirale della vitamina D, va ricordato che essa svolge un ruolo ben consolidato nell’immunità innata e in quella adattativa delle infezioni virali e batteriche.[5] In questa prospettiva, uno studio del 2020[6] ha evidenziato che la vitamina D è in grado di mantenere l’integrità delle giunzioni strette nell’epitelio cellulare e l’integrità della barriera polmonare esercitando anche in questo modo le sue proprietà antivirali e il suo possibile ruolo nel mitigare la polmonite e l’iper-infiammazione.[7]
Si pensa che queste proprietà derivino dalla capacità della vitamina D di modulare l’espressione genica attivando i suoi recettori VDR (Vitamin D Receptor) distribuiti ubiquitariamente in molte cellule bersaglio, comprese le cellule immunitarie.[8] Infatti, i recettori VDR sono stati trovati sia sulle cellule immunitarie residenti che sulle cellule epiteliali respiratorie[9] e una metanalisi, considerando studi interventistici in più di 11.000 pazienti, ha riportato che gli integratori di vitamina D riducono del 65% l’incidenza di infezioni respiratorie in pazienti con bassi livelli plasmatici di vitamina D.[10]
Non bisogna però dimenticare anche che nell’interpretazione degli studi scientifici sui possibili effetti della vitamina D nell’uomo, il nesso tra causa ed effetto rimane controverso e non permette di affermare chiaramente se sia l’ipovitaminosi D a provocare l’insorgenza o l’aggravamento di una determinata malattia (interpretazione più accreditata) oppure se sia la malattia stessa a ridurre il livello plasmatico di vitamina D.[11]
Origine della vitamina D naturale
In condizioni naturali, la vitamina D che ognuno di noi ha nel proprio organismo proviene da sole due fonti:
- la dieta alimentare (10-15%),
- la sintesi cutanea in seguito all’esposizione al sole (85-90%).
I cibi più ricchi di vitamina D3 (colecalciferolo) sono quelli di origine animale e in particolare la carne di alcuni pesci grassi (salmone, sgombro e aringa), il tuorlo d’uovo, il latte animale, il fegato, gli oli di pesce (soprattutto l’olio di fegato di merluzzo) ed eventuali altri cibi arricchiti artificialmente (come i latti animali e vegetali, alcuni prodotti utilizzati per la colazione del mattino, ecc.).
I cibi di origine vegetale contengono invece la vitamina D2 (ergocalciferolo) che si trova principalmente nei lieviti, in alcune alghe e in alcuni funghi, come lo Shiitake.
La sintesi endogena di vitamina D, invece, avviene esponendo la cute alla luce solare.
Sintesi endogena della vitamina D
La nostra Pro-vitamina D3 cutanea (7-deidrocolesterolo) viene sintetizzata nella pelle a partire dalla molecola del colesterolo (per riduzione chimica) e anche questo elemento può farci capire l’importanza del colesterolo e il pericolo a demonizzarlo e a ridurlo eccessivamente con le statine (farmaci chimici ad azione ipocolesterolemizzante).
Il 7-deidrocolesterolo si trova sulla pelle e quando viene colpito dall’energia radiante del sole (radiazioni UVB, con lunghezza d’onda compresa tra 290 e 315 nm) si trasforma in un composto intermedio e instabile chiamato Pre-vitamina D3 (9,10-secosterolo) che in circa 48 ore si converte spontaneamente in un composto termodinamicamente più stabile chiamato colecalciferolo: è la Vitamina D3 vera e propria.
Quando il colecalciferolo (cutaneo o alimentare) entra in circolo, viene prima di tutto assorbito dal fegato dove viene metabolizzato a 25-idrossi-colecalciferolo (25-OH-D3), denominato calcifediolo, e successivamente quest’ultimo viene trasportato dal sangue a livello renale dove una piccola parte subisce un’ulteriore trasformazione a 1,25-diidrossi-colecalciferolo (1,25-[OH]2-D3), denominato calcitriolo e che è la potentissima vitamina D3 attiva.
Fattori che limitano la sintesi cutanea di vitamina D
I fattori che limitano la sintesi cutanea di vitamina D sono molteplici. Ricordiamo i più frequenti:
- La stagione: ovviamente d’estate c’è una maggior esposizione solare e una maggior sintesi di vitamina D.
- La latitudine (distanza dall’equatore): all’equatore i raggi solari arrivano perpendicolari al terreno e quindi sono più intensi e producono più vitamina D, mentre allontanandosi dall’equatore i raggi sono più inclinati e producono meno vitamina D.
- L’altitudine: più si sale di quota e più i raggi solari sono intensi e producono vitamina D.
- Il clima: le nuvole riducono la penetrazione dei raggi solari UVB e quindi si produce meno vitamina D.
- L’inquinamento atmosferico: il biossido di zolfo (SO2) o anidride solforosa è uno dei principali componenti dell’inquinamento atmosferico e purtroppo assorbe la radiazione ultravioletta riducendo la quantità di UVB che raggiunge la nostra pelle.
- L’orario del giorno: a mezzogiorno i raggi solari UVB sono più intensi e si produce una maggior quantità di vitamina D, diversamente dal primo mattino o tardo pomeriggio in cui la produzione vitaminica è minore.
- L’età: le persone di 70 anni producono quattro volte meno vitamina D di un soggetto più giovane, perché la quantità prodotta è correlata anche allo spessore della pelle e quella degli anziani è più sottile.
- Lo spessore della pelle: la quantità prodotta è correlata allo spessore della pelle, perché più è spessa e più vitamina D si produce.
- Il colore della pelle: la cute scura ha un maggior bagaglio di melanina che assorbe i raggi UVB riducendo la produzione di vitamina D. Pertanto, le persone di pelle scura devono stare più esposte al sole per produrre la stessa quantità di questa vitamina rispetto alle persone a pelle più chiara.
- Un aumento dell’indice di massa corporea (BMI): a parità di esposizione solare, le persone obese hanno meno disponibilità di vitamina D, perché questa viene immagazzinata nel tessuto adiposo e quindi una quantità minore è presente nel circolo sanguigno.
- L’indossare indumenti protettivi: i vestiti impediscono ai raggi UV del sole di colpire la nostra pelle e di produrre vitamina D.
- L’uso di creme protettive: anche solo l’uso di un fattore di protezione 15 potrebbe ridurre del 90-95% la produzione di vitamina D.
- L’esposizione al sole attraverso un vetro: il vetro assorbe tutte le radiazioni UVB, che quindi non sono più disponibili per la sintesi della vitamina D.
- Lo stile di vita: l’attività lavorativa al chiuso, il muoversi con le auto e il non fare attività fisica all’aria aperta limitano ovviamente moltissimo la produzione di vitamina D.
Esposizione al sole e rischio di eritema solare
La cute reagisce in modo molto diverso ai raggi UV e le caratteristiche legate alla produzione di melanina variano notevolmente da un soggetto all’altro. Si parla del cosiddetto “fototipo”, intendendo con questo termine le diverse modalità di reazione delle persone all’esposizione al sole e la loro capacità di abbronzarsi. Per motivi pratici, distinguiamo 6 fototipi:
- Carnagioni chiare (fototipi 1-2): proprio perché hanno una cute poco pigmentata e povera di melanina, si abbronzano molto difficilmente, mentre tendono a sviluppare facilmente degli eritemi solari.
- Carnagioni olivastra o intermedia (fototipi 3-4): si abbronzano più in fretta e sono meno soggetti agli eritemi rispetto le carnagioni chiare.
- Carnagioni scure (fototipi 5-6): hanno una cute ricca di melanina e sviluppano molto difficilmente un eritema solare.
Uno studio svizzero[12] ha calcolato quanto tempo le persone possono stare in piedi al sole (con cielo sereno a un’altitudine di circa 500 metri) in situazioni quotidiane senza esporsi al rischio di eritemi (non sono stati considerati scenari nei quali i raggi solari raggiungono perpendicolarmente il corpo delle persone, come quando si è sdraiati in piscina o in spiaggia).[13]
La potenza dell’irraggiamento solare viene generalmente considerato nel modo seguente:[14]
- Irraggiamento solare del 100%: alle ore 12,30 (ora solare: OS) o alle ore 13,30 (ora legale: OL).
- Irraggiamento solare del 75%: ore 10,30 (11,30 OL) e ore 14,30 (15,30 OL).
- Irraggiamento solare del 50%: ore 9,30 (10,30 OL) e ore 15,30 (16,30 OL).
Da quanto abbiamo detto poco sopra, queste stime non si applicano ovviamente alle zone di alta montagna, né ai paesaggi innevati o ai Paesi equatoriali.
Sono stati inoltre considerati i vari tipi di pelle e la loro sensibilità ai raggi solari misurandola secondo la Dose Minima Eritematogena (DME), che indica l’energia della radiazione UV per una determinata superficie cutanea a partire dalla quale possono comparire arrossamenti o eritemi solari. L’esame è stato condotto su tre gruppi di persone:
- – Bambini e persone con carnagione chiara o molto chiara (elevata sensibilità ai raggi UV): DME di 200-300 joule/mq.
- – Persone con carnagione olivastra (normale sensibilità ai raggi UV): DME di 300-500 joule/mq.
- – Persone con carnagione scura (scarsa sensibilità ai raggi UV): DME di 500-1000 joule/mq.
La Tabella 1 indica la durata massima di esposizione solare in posizione eretta per ridurre al massimo il rischio di sviluppare un eritema senza protezione.
Tabella 1 – Durata massima di esposizione solare al mattino (ore 9,00 ora solare [OS] o 10,00 ora legale [OL]), a mezzogiorno (ore 12,30 OS o 13,30 OL) e al pomeriggio (ore 15,00 OS o 16,00 OL) per evitare eritemi solari restando in posizione eretta e senza protezione.
Mattina | Mezzogiorno | Pomeriggio | |
Febbraio, marzo, ottobre, novembre, dicembre | 50-120 min | 20-60 min | 30-120 min |
Aprile, settembre | 30-60 min | 15-30 min | 20-50 min |
Da maggio ad agosto | 20-45 min | 10-20 min | 15-30 min |
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Mattina | Mezzogiorno | Pomeriggio | |
Febbraio, marzo, ottobre, novembre, dicembre | 80-240 min | 30-120 min | 60-240 min |
Aprile, settembre | 45-120 min | 20-45 min | 30-90 min |
Da maggio ad agosto | 35-75 min | 15-30 min | 25-50 min |
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Mattina | Mezzogiorno | Pomeriggio | |
Febbraio, marzo, ottobre, novembre, dicembre | 120-240 min | 60-180 min | 90-240 min |
Aprile, settembre | 80-180 min | 30-90 min | 50-120 min |
Da maggio ad agosto | 60-120 min | 25-60 min | 40-90 min |
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Esposizione solare e rischio di melanoma
Abbiamo spiegato che la maggior parte della vitamina D necessaria alla salute è sintetizzata nella pelle unicamente attraverso i raggi ultravioletti (UV): una forma di radiazione non ionizzante emessa dal sole.
Sappiamo però che il sole, accanto a questi effetti benefici dei suoi raggi UVB, emana anche i raggi UVA che sono più penetranti perché hanno una lunghezza d’onda maggiore (UVA: 320-400 nm; UVB: 290-315 nm).
Gli UVA sono pericolosi perché, oltre a stimolare la produzione di melanociti, alterano le caratteristiche elastiche della cute, aumentano la produzione di radicali liberi, provocano eritemi e possono causare il pericoloso melanoma.[15]
Il melanoma, infatti, sta diventando il cancro più frequente (tra il 2008 e il 2012 è stato il quarto tipo di cancro più frequente in Svizzera, con una media di quasi 2.450 nuovi casi all’anno).[16] Pertanto, dato che è causa di numerose morti ogni anno, è veramente importante sapere come comportarsi per evitarlo, ma sapendo anche come comportarsi per evitare di trovarsi in uno stato di carenza di vitamina D.
La questione non è irrilevante, perché
per evitare il melanoma e altri cancri cutanei bisogna ridurre l’esposizione solare, mentre per non andare in carenza di vitamina D bisogna invece aumentare l’esposizione solare.
Abbiamo già detto che la quantità di UV in un luogo è influenzata dalla nuvolosità del cielo, dall’altitudine, dal periodo dell’anno e da altri fattori ambientali e personali. Tipi diversi di UV sono correlati a diversi tipi di cancro della pelle e non solo al melanoma, perché abbiamo un gruppo numeroso di tumori cutanei rappresentati dai carcinomi (soprattutto il carcinoma basocellulare o basalioma e il carcinoma spinocellulare o carcinoma squamoso) che spingono i dermatologi ad intervenire frequentemente in molte formazioni dubbie per eliminare tali lesioni.[17]
I più alti tassi mondiali di melanoma cutaneo vengono registrati in Australia, che ha elevate quantità di irraggiamento UV. Ricordiamo però che il sole non è l’unica causa di formazione del melanoma, ma è sicuramente la più conosciuta.
La distanza dall’equatore (latitudine) incide molto meno della sensibilità della pelle all’esposizione solare nel causare il melanoma. Infatti, la Scandinavia ha tassi di melanoma molto più elevati (19/100.000 abitanti nel 2012) rispetto ai Paesi mediterranei (11/100.000 abitanti nel 2012), dato che la popolazione di questi ultimi è meno sensibile al sole rispetto quella scandinava.[18] [19] [20] [21]
D’altra parte, non va dimenticato che l’esposizione al sole è positiva perché, oltre e soprattutto grazie a permettere la formazione della vitamina D, riduce il rischio di cancro avanzato di mammella, prostata e di linfoma non Hodgkin.[22]
Fattori facilitanti l’eritema solare e il melanoma
L’eritema solare e il melanoma sono stati costantemente associati a vari fattori soggettivi:[23] [24] [25] [26]
- sesso maschile;
- esposizione solare in età pediatrica;
- esposizione solare intermittente durante il corso della vita, ma specialmente durante l’infanzia;
- sensibilità all’esposizione solare per pelle chiara, colore dei capelli rossi o biondi (in questi casi può disturbare e diventare patogena anche una scarsa esposizione al sole);
- numero delle scottature solari in qualsiasi periodo di tempo;
- tendenza a scottarsi alla prima esposizione al sole in primavera/estate;
- incapacità di abbronzarsi per cute mediamente scura (il pericolo aumenta solo con un discreto numero di ore cumulative di esposizione al sole);
- storia pregressa di precedenti episodi di eritema solare o di melanomi cutanei.
L’esposizione solare cronica, cioè molto prolungata nel tempo (generalmente anni), ha una relazione poco chiara con lo sviluppo del melanoma a causa di risultati contrastanti degli studi scientifici e diversi tipi e tempi di esposizione, ma sembrerebbe che se la persona si abitua gradualmente all’irraggiamento solare va incontro ad un minor rischio di cancro in generale.[27] [28] [29]
Gli studi che hanno indagato un’elevata esposizione al sole, da parte di persone che erano costrette ad esporsi cronicamente per lavoro, mostrano in genere un rischio ridotto di melanoma, ma non la riduzione degli altri tipi di tumore della pelle.[30] [31]
In pratica, la relazione tra esposizione solare da una parte ed eritema o melanoma cutaneo dall’altra è complessa, perché è influenzata da molti fattori personali: la pigmentazione della pelle, il comportamento di ricerca del sole e una maggiore intensità ambientale alle radiazioni UV.
Alcuni studi[32] [33] suggeriscono che il rischio di melanoma degli individui sensibili al sole aumenta immediatamente con l’esposizione precoce al sole (che probabilmente causa anche scottature solari), ma poi tende a diminuire (curva a forma di U inversa), a meno che questi individui non continuino ad essere esposti al sole per un periodo di tempo eccessivo (inoltre, prevalentemente si tratta di soggetti a pelle chiara, cioè fototipi 1 e 2).
Normalmente si pensa anche che una iniziale esposizione al sole da parte di individui sensibili all’eritema possa creare una scottatura solare o altri danni al punto da dissuadere tali individui a ripetere l’esperienza senza una protezione, preservandoli quindi dal rischio di formare un melanoma.
Inoltre, si pensa che nelle persone con una buona risposta pigmentaria al sole (carnagione più scura), il rischio di melanoma aumenta solo con una esposizione cumulativa al sole (cioè dopo ripetute esposizioni).
Green[34] ha proposto che la suscettibilità dei melanociti all’alterazione maligna possa variare in base alla posizione del corpo, spiegando alcune differenze legate all’esposizione solare intermittente.
Whiteman e Colleghi[35] hanno invece riscontrato una maggior incidenza di melanoma tra quelli con incapacità di abbronzarsi e storia di melanoma agli arti o alla testa.
Alcuni studi suggeriscono che l’uso “regolare” o troppo “precoce” di dispositivi abbronzanti (parliamo delle diffusissime lampade abbronzanti utilizzate privatamente o presso Centri abilitati possa aumentare il rischio di sviluppare il melanoma.[36]
Pertanto, la prevenzione del cancro della pelle dovrebbe concentrarsi sul miglioramento dei comportamenti multipli per ridurre l’esposizione ai raggi UV ed evitare le scottature solari e non solo sull’uso della semplice e sicuramente utile protezione solare.
Alla luce di quanto detto finora ci si può porre una domanda cruciale:
Come possiamo esporci al sole in modo da assumere un’adeguata quantità di vitamina D senza per questo aumentare il rischio di causare eritemi solari e di ammalarsi di melanoma?
Esposizione solare e produzione di vitamina D
Lo studio svizzero suddetto[37] ha cercato di valutare anche la durata dell’irraggiamento solare necessaria a produrre vitamina D in quantità sufficiente (circa 600 unità internazionali [UI] secondo le raccomandazioni del 2012 dell’Ufficio Federale della Sanità Pubblica [UFSP] per persone con un’età inferiore a 60 anni[38]).
Secondo gli studi scientifici,[39] [40] nelle giornate soleggiate da metà marzo a metà ottobre e per i tipi di pelle più scura (fototipi 4, 5, 6), da aprile a settembre è possibile produrre vitamina D a sufficienza attraverso la pelle non protetta di viso, braccia e mani senza correre il rischio di sviluppare eritemi.
La Tabella 2 riassume la durata d’esposizione al sole necessaria per produrre una quantità giornaliera di 600 UI di vitamina D in un soggetto giovane di circa 20 anni. Come si vede, a parità di periodo dell’anno e di orario di esposizione, questa durata è nettamente inferiore a quella considerata a rischio di eritema solare (cfr Tabella 1).
Tabella 2 – Durata di esposizione solare necessaria per produrre 600 UI di vitamina D senza causare eritemi di mattina (ore 9,00 ora solare [OS] o 10,00 ora legale [OL]), a mezzogiorno (ore 12,30 OS o 13,30 OL) e al pomeriggio (ore 15,00 OS o 16,00 OL) restando in posizione eretta con viso, mani e braccia esposte al sole.
Mattino | Mezzogiorno | Pomeriggio | |
Gennaio, dicembre | >4 ore | 1½-2½ ore | n/a* |
Febbraio, novembre | 2½-3½ ore | ½-1½ ore | 2-3 ore |
Marzo, ottobre | 1-2 ore | ¼ – ½ ore | ½-3 ore |
Aprile, settembre | 30-45 min | 10 min | 15-30 min |
Maggio, agosto | 15-30 min | 5-10 min | 10-15 min |
Giugno, luglio | 15-20 min | 5-10 min | 10-15 min |
Nota: * La dose assorbita è insufficiente per produrre 600 UI.
* * *
Mattino | Mezzogiorno | Pomeriggio | |
Gennaio, dicembre | >5 ore | 2-7 ore | n/a* |
Febbraio, novembre | 3-5 ore | ¾-2½ ore | n/a* |
Marzo, ottobre | 1½-2½ ore | ½-¾ ore | ¾-2½ ore |
Aprile, settembre | 45-60 min | 10-20 min | 20-60 min |
Maggio, agosto | 20-45 min | 10-15 min | 15-30 min |
Giugno, luglio | 20-30 min | 10-15 min | 15-20 min |
Nota: * La dose assorbita è insufficiente per produrre 600 UI.
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Mattino | Mezzogiorno | Pomeriggio | |
Gennaio, dicembre | >7 ore | n/a* | n/a* |
Febbraio, novembre | 4-8 ore | 1½-5 ore | n/a* |
Marzo, ottobre | 2-4 ore | ¾-1½ ore | n/a* |
Aprile, settembre | 60-120 min | 20-60 min | ¾-3½ ore |
Maggio, agosto | 45-90 min | 20-30 min | 30-60 min |
Giugno, luglio | 40-75 min | 20-30 min | 30-60 min |
Nota: * La dose assorbita è insufficiente per produrre 600 UI.
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Sotto il sole di mezzogiorno dei mesi di giugno e luglio, gli individui particolarmente sensibili ai raggi UV producono 600 UI di vitamina D in 5-10 minuti, quelli con sensibilità normale ai raggi UV in 15-20 minuti e quelli meno sensibili in 20-30 minuti.
A nostro avviso, la produzione di 600 UI/die di vitamina D è un po’ bassa, ma se la persona non espone al sole solo viso, braccia e mani, ma anche le gambe ed eventualmente parte dell’addome e/o della schiena la produzione giornaliera di vitamina D sale nettamente e diventa sicuramente più utile per le finalità della Medicina Preventiva.
Insufficiente produzione di vitamina D nei mesi meno soleggiati
Alla fine dell’autunno, in inverno e all’inizio della primavera il sole è tuttavia troppo debole per consentire alla pelle di produrre vitamina D a sufficienza e inoltre, forse proprio per questo motivo, durante la stagione fredda i tassi plasmatici di vitamina D scendono al di sotto del valore raccomandato.[41]
In questo periodo caratterizzato da scarso irraggiamento solare, l’assorbimento di vitamina D attraverso l’alimentazione ed eventualmente con il ricorso ad integratori alimentari costituisce una buona soluzione per supplire alle carenze.[42]
Come si evidenzia dalle suddette Tabelle, gli individui dalla pelle chiara sviluppano più facilmente un eritema, ma possono sfruttare meglio i raggi UV per produrre la vitamina D, mentre coloro che hanno la pelle più ricca di melanina sono più protetti contro gli eritemi, ma assorbono meno raggi solari indispensabili per la produzione di vitamina D e infatti le persone dalla pelle più scura che risiedono nei Paesi nordici hanno più facilmente una carenza di vitamina D.[43]
In molti casi, l’apporto di vitamina D sotto forma di integratori specifici può essere una buona soluzione durante tutto l’anno, ma deve essere personalizzato in base allo stile di vita e alle caratteristiche fisiopatologiche della persona.
La produzione di vitamina D dipende dall’età
Come abbiamo spiegato all’inizio di questo articolo, con l’avanzare dell’età la capacità della pelle di sintetizzare la vitamina D diminuisce. Infatti, la produzione di vitamina D di un individuo di 40 anni è solo il 75% di quella di un giovane di 20 anni e quella di un anziano di 70 anni sarà solo il 40-50%.[44]
Tabella 3 – Produzione endogena di vitamina D nelle varie età anagrafiche a parità di tempo di esposizione.
Età anagrafica | Percentuale di vitamina D prodotta |
---|---|
20 anni | 100% |
40 anni | 75% |
70 anni | 40-50% |
La causa principale di questo calo è attribuita allo spessore della cute.
Infatti, le persone anziane, avendo una cute più sottile, devono esporsi maggiormente al sole oppure, molto meglio, esporsi più volte al giorno per brevi periodi oppure dovranno ricorrere con maggiore frequenza all’apporto di vitamina D attraverso integratori alimentari.
Una carenza di vitamina D è inoltre particolarmente frequente nelle fasi di maggiore crescita (neonati e adolescenti), quando il fabbisogno di calcio e di vitamina D è molto elevato. Pertanto, l’integrazione di vitamina D è estremamente importante sia durante la gravidanza per il feto, sia più tardi per il neonato, sia molti decenni dopo nell’anziano.
I nostri consigli conclusivi
Sappiamo che la maggior parte della vitamina D necessaria alla salute dell’essere umano è sintetizzata attraverso la pelle per effetto dei raggi solari, però sappiamo anche che se questi raggi sono troppo intensi, possono avere un effetto estremamente dannoso.
Inoltre, ci sono alcune età che hanno bisogno di una maggiore produzione di vitamina D e altre che hanno bisogno di una maggior esposizione al sole per ottenere la stessa quantità di vitamina.
È stato calcolato che trascorrere 1-2 ore al giorno all’aria aperta, senza tuttavia esporsi direttamente e troppo a lungo alle radiazioni solari, consente di produrre vitamina D a sufficienza. Però questo può non essere possibile a tutti e quindi pensiamo sia utile avere delle alternative per ottenere una buona dose di vitamina D nel nostro organismo senza peraltro temere di trovarsi in una condizione di elevato rischio di qualche neoplasia cutanea.
Per aumentare la sintesi di vitamina D si possono seguire questi consigli:
- Esporsi gradualmente al sole estivo, specialmente nelle regioni con latitudine più vicina all’equatore.
- Evitare le zone industriali inquinate (un po’ tutta la Pianura Padana) e preferire il sole della montagna rispetto a quello marino.
- Evitare le creme protettive solari nella primissima esposizione (chi è solito proteggersi fin dai primi minuti con le creme solari rischia di impoverirsi sempre più di vitamina D). Queste protezioni sono invece utili e particolarmente raccomandate dopo il primo tempo di esposizione solare oppure quando l’esposizione avviene nelle ore centrali della giornata.
- Si consiglia di scegliere le prime o le ultime ore di sole della giornata se ci si può esporre per un tempo prolungato (c’è un basso rischio di melanoma, ma anche una scarsa produzione oraria di vitamina D).
- Se invece si è costretti ad esporsi al sole solamente nelle ore centrali della giornata in cui c’è una maggiore produzione di vitamina D, ma anche un maggior rischio di ammalarsi di melanoma o di altre neoformazioni cutanee, consigliamo di esporsi al sole diretto per 10-30 minuti (il tempo dipende dal mese dell’anno e dal fototipo, cioè dalla sensibilità cutanea all’esposizione solare) e poi di proteggersi con una crema protettiva adeguata (raccomandazione tassativa specie per le carnagioni più chiare).
- Più specificatamente, durante i periodi estivi, per un apporto sufficiente di vitamina D basta un’esposizione al sole di mezzogiorno di 10-20 minuti per le persone con carnagione chiara e di 25-60 minuti per quelle con carnagione scura. Dato però che l’esposizione solare nelle ore di massima intensità è comunque pericolosa per il particolare rischio di melanoma, si raccomanda di esporsi al sole del mattino (in estate fino alle 8,30-9,00, senza protezione) e del pomeriggio (dalle 18,00-18,30, senza protezione), in modo che durante le ore di forte irraggiamento sia possibile stare all’ombra o comunque proteggersi adeguatamente.
- Durante le prime e le ultime ore di sole della giornata la formazione di vitamina D è inferiore rispetto le ore centrali, ma se si prende la sana abitudine di stare all’aperto camminando o lavorando (non sempre continuamente sotto il sole) almeno 30-40 minuti al giorno in estate e fino a 60 minuti in primavera e in autunno, si otterrebbe sicuramente una sufficiente produzione endogena di vitamina D e la cute si abituerebbe lentamente all’esposizione solare con una adeguata e fisiologica produzione di melanina.
- Per quanto riguarda un neonato (sotto l’anno di vita), bisogna trattarlo come se fosse una persona con carnagione chiara e molto sensibile all’esposizione solare. Quindi NON deve essere esposto al sole nelle ore centrali della giornata, ma può essere esposto al sole prima delle ore 9 e dopo le 18: in quell’orario il sole gli farà bene. Consiglio però di evitare esposizioni per più di 30 minuti al giorno. Inoltre, raccomando di non portare i neonati con meno di 6 mesi di vita in montagna sopra i 1.000-1.200 metri di altezza (se sono nati e vissuti in pianura) e in particolare non esporli al sole sulla neve, perché in quel caso l’irradiazione sarebbe per loro eccessivamente intensa.
- I soggetti anziani devono cercare di esporsi al sole quotidianamente, per un tempo maggiore e preferibilmente 2 volte al giorno (prima mattina e tardo pomeriggio).
- Le persone di carnagione scura devono stare più esposte al sole per produrre la stessa quantità di vitamina D rispetto alle persone a pelle più chiara.
- Combattere l’obesità cercando di normalizzare il peso corporeo in eccesso, per evitare sia il sequestro della vitamina D nel grasso, sia la produzione di citochine proinfiammatorie da parte del grasso viscerale.
- Pur restando nei tempi leciti, cercare tutti i motivi possibili per esporsi al sole (uscire dagli edifici, usare la bicicletta, camminare sul marciapiede esposto al sole, ecc.) e quando è possibile farlo sempre con braccia e gambe scoperte e mai attraverso un vetro.
Chi fa una vera Prevenzione non deve avere alcun timore della malattia, di qualsiasi malattia.
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